Pellet per stufe: quale scegliere



Per chi in casa ha una stufa a pellet, con l’avvicinarsi della stagione fredda,  è arrivato il momento di fare rifornimento di combustibile vegetale.
Nella scelta del pellet migliore per le stufe bisogna prestare particolare attenzione all’etichetta . Il legno migliore è il faggio puro, secondo l’abete, che però come le altre piante resinose sporca un po’ di più la stufa. Infine ci sono le latifoglie e il misto. Esiste poi il pellet ottenuto da biomasse varie, per esempio segatura di legno mischiato a scarti di mais. Questo tipo di pellet è consigliato solo per grandi caldaie, non per le stufe in quanto il residuo di cenere relativamente alto sporca braciere e canna fumaria.
In ogni caso guardando l’etichetta riportata sui sacchi di pellet è bene prestare attenzione ai  due numeri riportati. Il primo indica il potere calorifico, ossia l’energia fornita da una data quantità di quel particolare pellet. I valori possono andare da 4.5 a 5.5 kWh/kg. Ovviamente è da preferire il valore più alto. Il secondo numero indica il residuo di cenere: correlato al potere calorifico, determina quanto il pellet sporcherà la stufa. L’ideale è che sia sotto l’1%.
Il modo migliore per garantirsi un pellet di qualità è sceglierne uno che si sottoponga a certificazioni volontarie riconosciute. Per l’Italia queste danno ad esempio  l’attestazione Pellet Gold. Indica che i produttori di pellet che vogliono riportare questo marchio sulle proprie confezioni accettano che il loro materiale sia sottoposto a controlli casuali, periodici e a sorpresa in un laboratorio certificato. Le analisi verificano la composizione chimica, escludendo ad esempio la presenza di vernici e formaldeide che potrebbe essere presente qualora il pellet fosse (illegalmente) derivato da scarti di legno già lavorato, misurano il potere calorifico e il residuo di ceneri, controllano le caratteristiche fisiche come la durevolezza, ossia che il pellet non si sbricioli, ed effettuano altri tipi di test per controllarne la qualità.
C’è anche una certificazione a livello europeo, la EN Plus, che divide i pellet in tre classi di qualità: dalla A1 per la qualità più elevata, la A2 per la più scadente ma comunque conforme a determinati standard e la B destinata solo a grandi impianti di combustione per uso commerciale o industriale.
Una buona guida al mondo del pellet si trova su qualenergia.it.

Pulizia e manutenzione della caldaia



E’ arrivato l’autunno, le ore di luce si accorciano, le foglie iniziano ad ingiallire ed è anche il momento di controllare la caldaia che a breve dovrà ricominciare la sua piena attività.
Questo è il periodo migliore per contattare il tecnico che procederà alla pulizia e al controllo della caldaia in quanto più si avvicineranno le giornate fredde più le ditte specializzate saranno subissate di chiamate ed i tempi di attesa si allungheranno.
La manutenzione regolare della caldaia è necessaria, prima di tutto, per garantire la sicurezza. Impianti vecchi e trascurati, non a perfetta tenuta stagna, usurati o mal funzionanti, possono provocare perdite di gas e, di conseguenza, pericolosi incidenti domestici.
Per manutenzione si intende anche il rispetto delle scadenze per il controllo dei fumi di scarico degli impianti. E questa è la seconda buona ragione per rispettarne le norme. Il controllo dei fumi serve a evitare che la caldaia produca emissioni nocive non solo per se stessi, ma anche per l’aria e per l’ambiente.
Una terza buona ragione per essere rigorosi nei controlli è il portafoglio. Una caldaia a norma non solo è sicura, ma consente anche un buon risparmio energetico. Una non perfettamente funzionante e sporca, invece, consuma più gas e la bolletta a fine  stagione ne risente di sicuro.
La legge prevede precise scadenze per la cosiddetta analisi dei fumi (o controlli per l’efficienza energetica) degli impianti di riscaldamento. Consiste, in pratica, nel prelievo e nell’analisi delle sostanze inquinanti emesse nell’ambiente esterno.
Nel caso di caldaia autonoma è il padrone di casa (responsabile a livello penale e civile) a dover contattare il tecnico specializzato; nel caso di un condominio con un impianto centralizzato, invece, se ne deve occupare l’amministratore. In entrambe le soluzioni, si deve rispettare una specifica tempistica.
Per le caldaie usate nelle abitazioni private (con potenza inferiore a 35 kW) il controllo dei fumi va fatto ogni due anni per gli impianti con più di 8 anni di anzianità; va fatto ogni due anni anche per le caldaie non a camera stagna (tipo B) e per quelle installate all’interno dell’abitazione (che devono essere sempre a camera stagna).
Per le caldaie con meno di 8 anni, per quelle a camera stagna (tipo C) e quelle non a camera stagna ma esterne all’abitazione, il controllo può essere fatto ogni quattro anni (solo se espressamente scritto sul libretto di  istruzioni della caldaia, altrimenti rimane l’obbligo ogni due anni.
Nel caso la caldaia di casa sia alimentata a combustibile solido o liquido (per esempio legna, gpl, gasolio, pellet) la manutenzione deve essere eseguita ogni anno, indipendentemente dalla potenza dell’impianto.
Per le caldaia con potenza uguale o superiore a 35 kW (in sostanza gli impianti di riscaldamento centralizzato dei condomini) il controllo va fatto ogni anno, sia per quelli a gas sia per quelli a combustibile solido o liquido. Questi controlli di legge sono obbligatori e l’autorità di verificare che siano rispettati spetta al Comune, nei centri con più di 40mila abitanti, oppure alla Provincia, nei centri con meno di 40mila abitanti.
I costi per l’analisi dei fumi e per la manutenzione della caldaia possono variare a seconda della regione e della ditta alla quale ci si affida. In generale comunque il costo medio è di 60/75 euro per la sola manutenzione ordinaria e di 100/120 euro se è compreso il controllo delle emissioni.